La traduzione nella Francia romantica: il “caso” Hoffmann [a cura di Ilaria Biondi]
La floraison romantique in Francia, complici anche le campagne napoleoniche e il contributo di numerosi intellettuali esiliati a causa della Rivoluzione prima e dell’Impero poi, è contraddistinta da un’eccezionale apertura alle letterature straniere. Fatta eccezione per i rappresentanti del più severo e rigido Classicismo, la maggior parte degli intellettuali dell’epoca si schiera dalla parte delle affermazioni di Madame de Staël, che nel suo celebre articolo De l’esprit des traductions (pubblicato sulla rivista «Biblioteca italiana» nel 1816 con il titolo Sulla maniera et la utilità delle traduzioni) indica nella traduzione uno strumento indispensabile per porre rimedio al progressivo isterilirsi delle letterature nazionali:
C’est à l’universel qu’il faut tendre, pour faire des bien aux hommes. […] Les traductions des poètes étrangers peuvent, plus efficacement que tout autre moyen, préserver la littérature d’un pays de ces tournures banales qui sont les signes les plus certains de sa décadence.
Se la letteratura d’Oltremanica penetra in suolo francese già nel corso del XVIII secolo, grazie alla scoperta delle opere di Shakespeare e della poesia notturna e tombale, la produzione letteraria d’Oltrereno fa la sua apparizione più tardi, a partire dagli ultimi decenni del ‘700 (benché si tratti ancora di incursioni sporadiche e frammentarie), complice anche la fioritura di riviste letterarie con tendenze cosmopolite come il «Magazin encyclopédique», il «Mercure étranger» e il «Journal général de la littérature étrangère». Un significativo impulso viene dato sempre da Madame de Staël, che nel suo studio De l’Allemagne (stampato a Londra nel 1813) invita i propri connazionali a volgere lo sguardo alle brumose contrade del Nord Europa e a scoprire lo spirito selvaggio e primitivo e la straordinaria capacità immaginativa di cui è dotato il popolo tedesco, la cui naturale predisposizione al sogno e alla riflessione filosofica contrastano profondamente con la severa rigidità e razionalità di tanta produzione autoctona, imbrigliata nelle strette maglie della dottrina classica.
Un significativo contributo è dato anche da figure come Charles Vanderbourg, intellettuale cosmopolita e acuto conoscitore della letteratura di lingua tedesca, che si adopera per divulgare l’opera di autori che egli ammira profondamente come J. W. Von Goethe. È infatti al padre del Werther e a Schiller che va l’attenzione del mondo letterario francese d’inizio Ottocento. Tra il 1815 e il 1830 la Francia non è ancora pronta ad accogliere le rivoluzionarie idee della Romantik tedesca (persino alcuni membri del gruppo di Coppet, disapprovando l’ammirazione sconfinata della De Staël per Wilhelm Schlegel, reagiscono con diffidenza alle nuove ed ardite concezioni estetiche degli intellettuali di Iena) e prima di compiere un passo così audace, ha la necessità di acquisire familiarità con un mondo che le è per buona parte misconosciuto, esplorando pertanto la produzione precedente, quella classicità tedesca che si guadagna fin da subito plausi e consensi da parte del pubblico e della critica.
Questa legge non scritta ha però la sua grande eccezione: le opere del musicologo e scrittore E.T.A. Hoffmann, esponente della fase tradiva del romanticismo tedesco (la cosiddetta Spätromantik), vengono tradotte a partire dal 1829 da François-Adolphe Loève-Veimars, figura affascinante e carismatica d’intellettuale e traduttore, spirito mondano e avventuriero che si muove da protagonista nella scena letteraria e culturale della Francia degli anni Trenta dell’Ottocento. Sono le pagine della «Revue de Paris», la rivista letteraria fondata dal Dr. Véron che raduna quasi tutti gli esponenti della nuova scuola romantica francese, ad accogliere i primi racconti tradotti. Sul finire di quello stesso 1829 Loève-Veimars, con perspicacia e lungimiranza, lancia sul mercato i primi volumi della sua monumentale traduzione, affidandosi ai tipi di Eugène Renduel, un piccolo libraire-éditeur giunto da poco nella capitale francese, dotato di modeste sostanze e di cultura tutto sommato limitata (come è nell’ordine delle cose all’epoca) ma capace di diventare punto di riferimento essenziale, per alcuni anni, del nascente movimento romantico (la sua bottega costituisce infatti luogo d’incontro privilegiato per figure del calibro di Nodier, Dumas, Borel, Paul e Alfred de Musset, Gautier e Nerval). La prima edizione, che consta di venti volumi, viene pubblicata tra il 1829 e il 1833. La seconda, formata da otto volumi, viene data alle stampe tra il 1832 e il 1836.
Il successo delle Œuvres Complètes di Hoffmann è immediato e clamoroso, tanto che altri editori (in primo luogo Lefebvre) si gettano a capofitto nel lucroso affare. La versione di Loève-Veimars riesce però ad imporsi sulle traduzioni coeve che con essa rivaleggiano, ingenerando in pieno romanticismo il fenomeno dell’hoffmannisme, considerato da alcuni studiosi alla stregua di una vera e propria corrente letteraria storicamente definita.
Di certo Loève-Veimars ha dalla sua, rispetto ai suoi agguerriti concorrenti, dei vantaggi contingenti che conferiscono alla sua traduzione un’impronta di unicità, il primato cronologico anzitutto, poiché quando le Œuvres Complètes vengono pubblicate il nome dello scrittore tedesco è ancora pressoché ignorato dal grande pubblico. Tra il 1826 e il 1828 esistono, a dire il vero, delle timide forme di penetrazione del suo nome in Francia (tra le quali figurano anche le traduzioni di tre racconti), ma si tratta di tentativi sparsi, che passano inosservati negli ambienti letterari del tempo e che non riescono ad imporre il nome di Hoffmann sulla scena parigina. Loève-Veimars, in qualità di abile mediatore culturale, sa approfittare di un momento storico e culturale particolarmente favorevole per lanciare nel mercato editoriale francese l’opera di Hoffmann, che in virtù della sua originalità sembra rispondere al bisogno di novità reclamato da tanti critici e scrittori, con insistenza crescente a partire dagli anni Venti. Le Œuvres Complètes possono anche avvalersi, a differenza delle edizioni dei concorrenti, di un battage pubblicitario di vaste proporzioni, con particolare riferimento agli annunci di prossima pubblicazione e alle recensioni, che figurano con frequenza quasi insistente nelle pagine di riviste letterarie e quotidiani come la «Revue de Paris», «La Mode», «Le Globe», «Le Mercure de France».
Riteniamo tuttavia che la principale motivazione di un successo così clamoroso, che diventa altamente produttivo esercitando una forte influenza su alcuni dei più originali autori della Francia romantica come Nodier, Nerval e Gautier, che si cimenteranno con risultati pregevolissimi con il genere del conte fantastique, sia rappresentata dalla particolare immagine che il traduttore trasmette dello scrittore prussiano e della sua opera. Con un’abile e studiata francisation del testo originale, che trova nella leggibilità e nella chiarezza i suoi principali puntelli (risultato ottenuto ad esempio attraverso l’espunzione di porzioni di testo, l’esplicitazione della terminologia specialistica, lo sfrondamento dell’originale da figure retoriche frequenti come metafora e similitudine, l’eliminazione delle ripetizioni …), Loève-Veimars conforma lo stile complesso e sofisticato di Hoffmann ai dettami della poetica neoclassica, che negli anni Venti dell’Ottocento ancora si impone con forza. Rientra in questa strategia traduttiva di “normalizzazione” anche una lettura in chiave moderata del fantastico di Hoffmann, che per la critica e il pubblico francesi rappresenta una novità assoluta. Effettuando un abile compromesso, il traduttore conserva, quando non enfatizza, quegli aspetti più convenzionali e spettacolari del fantastico (come la figura del fantasma o del diavolo) che più sono familiari al pubblico autoctono grazie alla tradizione del roman noir inglese, mentre stempera fortemente l’aspetto più audace e innovatore dei racconti hoffmanniani, che si fanno portavoce di una Weltanschauung problematica, generatrice di inquietudine metafisica, “censurando” ad esempio i termini che pertengono ai campi semantici del terrore e della follia.
L’indagare un lavoro come quello effettuato da Loève-Veimars significa – pur senza voler giustificare o sminuire la portata delle sue manipolazioni del testo originale – interrogarsi sulla sua strategia traduttiva, astenendosi dall’esprimere un aprioristico giudizio qualitativo e cercando invece di individuare le eventuali cause e costrizioni che possono avere indotto il traduttore ad abbracciare determinate scelte, in relazione al sistema letterario nel quale egli si trova ad operare.
Ilaria Biondi