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“Nessun bambino è un’isola. La letteratura per l’infanzia e la traduzione”, di Stefania Tondo [a cura di Ilaria Biondi]

Questo volume, la cui edizione italiana è stata curata da Stefania Tondo, propone una selezione dei contributi presentati alla XII edizione del NCRCL / British IBBY (International Board on Books for Young People) del 2005, avente come tema della conferenza la Letteratura per l’Infanzia. Alle giornate di studio è stato attribuito il titolo No Child is an Island, a voler sottolineare quanto la letteratura per l’infanzia e la traduzione siano caratterizzate da sconfinamenti che negano l’isolamento, per diverse ragioni: la letteratura per l’infanzia rappresenta infatti, all’interno della cultura letteraria, un ambito caratterizzato da confini fluidi, che non è più possibile mettere ai margini della produzione narrativa (Boero la definisce ad esempio, con estrema finezza, “un vastissimo territorio di frontiera in continuo mutamento”); essa è in grado di travalicare limiti di età e di generazioni, poiché il destinatario envisagé non è chiaramente definibile (la sua produzione e diffusione è opera di adulti, ma è importante chiedersi se essa si rivolga solo ai bambini); la traduzione della letteratura per l’infanzia, a sua volta, implica un intreccio dinamico e variegato perché chiama in causa competenze disciplinari numerose e differenti. Una volta tradotto dunque, il testo inizia a circolare e ad assumere vita propria, scorrendo come l’acqua e aprendosi a nuovi dialoghi e interazioni.

La prospettiva mondiale nella quale si colloca la conferenza (sono stati presi in esame libri di aree diverse, chiamando in causa non solo l’Europa occidentale ma anche l’Alaska, l’Afghanistan, il Brasile, la Polonia, la Russia, l’Ungheria, la Grecia, l’Uganda e la Cina), evidenzia però quanto questo flusso registri delle variazioni da un’area culturale e linguistica all’altra: il mercato editoriale globale registra infatti il primato di opere di lingua inglese le quali, una volta tradotte, entrano in altre zone del mondo, mentre sovente non accade il contrario, o comunque non nelle stesse proporzioni (benché in Inghilterra e negli Stati Uniti abbiano avuto grande diffusione capolavori continentali come Pinocchio e le opere di Perrault, dei Fratelli Grimm e di La Fontaine). Significativo in questo senso l’intervento di Anthea Bell, famosa traduttrice per bambini di lingua inglese e vincitrice di prestigiosi premi, la quale parla di una cauta apertura del mondo di lingua inglese verso libri per ragazzi in lingua straniera a partire dai primi anni del XXI secolo. La Bell, che si dichiara favorevole alla vecchia scuola traduttiva dell’invisibilità (il traduttore dovrebbe avere un profilo basso, non far prevalere il proprio ego e fare in modo che il lettore tragga dal testo tradotto lo stesso piacere che il lettore straniero riceve dal libro in lingua originale), per corroborare la propria tesi porta un esempio rivelatore: se il traduttore tedesco può permettersi di specializzarsi in letteratura per l’infanzia (pur traducendo anche altro) e sovente addirittura in una branca particolare della stessa, come il romanzo storico per giovani, non così il suo emulo anglosassone, essendo la mole di testi stranieri tradotti in lingua inglese di gran lunga inferiore.

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La conferenza dà spazio anche agli autori che, insieme ai traduttori  (suscitatori di un piacere che travalica i confini culturali), e agli editori intrepidi e lungimiranti, costituiscono gli agenti attivi di questo flusso editoriale e culturale. Nella prima parte del volume, insieme all’attenzione portata ai traduttori, degnamente rappresentati da Anthea Bell, viene pertanto proposto anche l’intervento dell’autrice Isabel Hoving, vincitrice di un importante premio olandese per il suo romanzo The Dream Merchant, la quale sottolinea con forza quanto la traduzione, che gioca un ruolo primario nell’educare alla multiculturalità, debba sforzarsi di creare un buon equilibrio tra familiarità ed estraneità, tra il desiderio di sedurre i giovani lettori con immagini e parole familiari (pensiamo ad esempio ai nomi degli eroi della storia, che acquisiscono nuova indipendenza e nuovo peso simbolico in fase di traduzione) e il desiderio di offrire loro il piacere dell’alterità e dell’opacità, suscettibili queste ultime di accrescere le fantasie interculturali dei nostri bambini.

La Hoving anticipa con queste sue riflessioni un aspetto-chiave della traduzione della letteratura per l’infanzia che viene approfondito nella seconda parte del volume, dedicata agli approcci traduttivi, nell’ottica degli studi relativi alla traduzione specifica della letteratura per l’infanzia, i Child-Oriented Translation Studies, i quali si propongono di acquisire maggiore consapevolezza linguistica e letteraria dei fenomeni di addomesticamento (aiutare il giovane lettore nelle potenziali difficoltà poste da libri e culture diverse) versus estraneamento (stimolare nel lettore il fascino per ciò che è poco familiare, conservando ad esempio il fascino esotico dato dai nomi stranieri) nel momento in cui avviene lo spostamento in lingue e culture di arrivo diverse da quelle di partenza.[1]

Questa domanda cruciale non può ricevere una risposta esatta ed univoca, perché è necessario tenere conto di diversi fattori, in particolare dell’età e del background culturale dei potenziali lettori ma anche dell’esistenza di un pubblico globale fruitore di storie i cui personaggi sono riconoscibili nei loro nomi d’origine (stranieri). Interessante in questo senso l’intervento di Margherita Ippolito che, portando come esempio concreto due traduzioni in lingua italiana dei testi di Beatrix Potter, si concentra sui problemi traduttivi legati ai dati culturalmente specifici, vale a dire quegli elementi lessicali connessi ad un retroterra culturale profondamente radicato[2]. Da un punto di vista teorico, le due posizioni traduttive possibili, contrapposte l’una all’altra, sono legate agli studi di Göte Klingberg, che propende per l’aderenza o strategia conservativa:

La rimozione delle peculiarità della cultura straniera o la sostituzione degli elementi culturali con quelli che appartengono alla cultura della lingua di arrivo, non promuoveranno la conoscenza e l’interesse dei lettori nei confronti della cultura straniera.

e di Riitta Oittinen, che difende invece l’adattamento o strategia sostitutiva:

Tradurre per bambini […] significa tradurre per un certo pubblico e rispettare tale pubblico prendendo in considerazione i suoi desideri e abilità.

Queste due procedure, benché contrapposte, possono anche combinarsi l’una con l’altra, purché ciò avvenga in modo razionale, onde evitare che la mescolanza forzata di elementi estranei e familiari possa nuocere alla coerenza interna del testo. Una buona traduzione, come ci ricorda Margherita Ippolito, deve pertanto scegliere se tendere alla preservazione o all’adattamento. Il casus concreto da lei preso in esame evidenzia come uno stesso testo possa essere oggetto, in fase di trasposizione nella medesima lingua e nel medesimo momento storico (le traduzioni analizzate sono contemporanee, essendo rispettivamente del 1981 e del 1988), di due strategie contrapposte (reader-oriented, con tendenza a rimuovere l’atmosfera straniera quella di Giulia Niccolai e conservativa, anche con il rischio di ingenerare problemi di pronuncia e comprensione per il lettore, quella di Donatella Ziliotto), benché entrambe contribuiscano, in diversa misura, a evocare un background culturale tipicamente anglosassone. La Ippolito evidenzia inoltre quanto il nostro paese, in termini generali, sia accogliente nei confronti della lingua e della cultura del mondo anglofono, come testimoniano l’elevato numero di traduzioni dall’inglese per giovani lettori e l’attenzione crescente del sistema scolastico italiano verso la lingua inglese.

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Michał Borodo parte dai medesimi presupposti teorici di Margherita Ippolito per concentrarsi sulla diffusione dei testi per bambini e ragazzi nella Polonia contemporanea, in un’ottica di ampio respiro sull’editoria contemporanea, di cui evidenzia il carattere globale e anglo centrico e il controllo da parte di un ristretto numero di grandi conglomerati. Borodo, integrando le posizioni teoriche di Klingberg e Oittinen, opta per una posizione non negativa nei confronti dell’adattamento, che gli storici e gli studiosi tradizionalmente classificano come deformazione, falsificazione, riscrittura, quando non censura, ponendo particolare attenzione all’impatto dei mezzi di comunicazione di massa globali sulle traduzione e sostenendo la necessità di accostare alle posizioni teoriche dei due studiosi l’analisi della produzione e diffusione del testo. Ne emerge un quadro complesso, in cui Borodo individua quattro categorie di adattamento:

  • globale (adattamenti che accompagnano i film d’animazione, quasi contemporaneamente disponibili su scala globale e sottoforma di una vasta gamma di libri tradotti con dimensione e prezzo differenziati);
  • intermediario (adattamenti non necessariamente presenti su scala globale, prodotti in un paese, tradotti e venduti in un altro e contenenti testi adattati originariamente prodotti in un altro paese ancora)[3];
  • locale (adattamenti di testi classici come Alice in Wonderland prodotti da adattatori locali e indirizzati al mercato locale, di scarso valore letterario e scarsa originalità, spesso imitazioni di adattamenti più famosi, come quelli della Disney);
  • ipertestuale (adattamenti di classici come Robinson Crusoe sottoforma di programmi software che includono una breve animazione, accompagnata dalla voce del narratore e da giochi interattivi, prodotti localmente).

Attenendosi poi alla scala locale, Borodo si interessa di alcuni fenomeni di traduzione specificatamente nazionali e storicamente condizionati nella Polonia all’alba del XXI secolo, come il riciclaggio di traduzioni escluse negli anni fra le due guerre (la Polonia comunista di allora giudica troppo sentimentali autori come Jean Webster), il “ringiovamenimento” di testi presenti in Polonia da sempre (come The Secret Garden), ma liberati dal giogo dell’editoria di stato (pertanto disponibili in diverse traduzioni per ciascun titolo), infine i nuovi arrivati (come Little House e Peter Rabbit). Di recente si ravvisa pertanto in Polonia un graduale spostamento dalle tendenze addomesticatrici a favore di quelle che conservano l’estraneità, come evidenziano molte traduzioni che, anziché celare, mettono in mostra l’elemento straniero (es. conservazione dei nomi in lingua straniera). Borodo però invita alla prudenza e incita a non incorrere nella facile semplificazione secondo la quale il mantenimento dell’elemento straniero sarebbe legato al mondo globalizzato della Polonia odierna e quello dell’addomesticamento al passato, indicando come esempio Alice in Wonderland, la cui traduzione più “straniera” non è degli anni ’90 bensì degli anni ’70! È innegabile tuttavia che si stia verificando uno slittamento significativo e progressivo dalla tendenza all’addomesticamento a quella di preservazione dell’elemento straniero. Per quanto la strategia conservativa tenda a imporsi come centrale nella Polonia di oggi, Borodo mette in luce due fattori che rendono più complesso il quadro d’insieme, poiché sono suscettibili di condizionare la traduzione in direzione di un forte addomesticamento: l’azione influente di singoli traduttori che godono di un prestigio indiscutibile (come Stanisław Barańczak, che traduce con estrema liberalità), alcune strategie di traduzione e specificità testuale (come i testi in cui il gioco di parole è centrale) e le versioni a diffusione globale dei film di animazione come Shrek, che vengono assimilati alla cultura locale, nello specifico polacca.

La terza sezione dello studio, Testo e immagine: traduzione e illustrazione, focalizzando l’attenzione sulla traduzione dei libri immagine (picture books) e dei testi illustrati (illustrated texts), rileva l’importanza primaria dell’aspetto iconografico nella traduzione per ragazzi, evidenziando come le immagini e le illustrazioni talvolta da marginali nel testo di partenza finiscano con l’assumere un ruolo centrale in quello d’arrivo, venendo ampliate, aumentate, “tradotte” e inventate ex novo, sulla base delle esigenze che le nuove versioni si propongono.

Sue Neale porta l’esempio della versione inglese del romanzo di Pennac L’oœil du loup (Eye of the Wolf) che con le sue illustrazioni eteree, la scelta del formato e del tipo di carta, presenta un target meno mirato, laddove la versione francese è un testo chiaramente programmato per diventare un’edizione scolastica, come si evince dalle scelte tipografiche, dal formato e dalle immagini (contravvenendo, suggerisce velatamente la studiosa, alla posizione di Pennac, che come scrittore e come insegnante si è sempre mostrato profondamente irritato dalla tendenza tipica della scuola francese a decostruire la letteratura infantile privandola del suo respiro mitico). Per la Neale, Eye of the Wolf è un chiaro esempio di come un testo nel suo complesso possa essere trasformato attraverso una traduzione in modo da risultare migliore dell’originale.

Stefania Tondo, che è anche curatrice dell’intero volume, interviene in questa sezione consacrata al testo e all’immagine esaminando alcune recenti traduzioni di classici per l’infanzia in lingua napoletana, in particolare Alice in WonderlandPinocchio e Christmas Carol, ad opera di Roberto D’Ajello, magistrato di professione, coadiuvato in questi felicissimi esprimenti dal noto artista napoletano Lello Esposito. In questo caso è necessario parlare secondo la Tondo di vera e propria metamorfosi artistica del testo poiché la traduzione, coinvolgendo direttamente e profondamente l’illustrazione, è pertanto tanto linguistica quanto visiva (Alice nuota nel mare di Napoli, col Vesuvio sullo sfondo). Non si può parlare affatto di manipolazione del testo, bensì di fusione culturale nel senso più alto del termine, di piacere del testo alla Barthes. Da notare che le traduzioni di D’Ajello partono dall’originale inglese e non dalla traduzione in lingua italiana.

Nella quarta e ultima parte, Altre aree culturali coinvolte nella traduzione, siamo chiamati a riflettere sul rapporto tra traduzione e cultura rispettivamente nella società comunista della Germania Est e nell’Afghanistan del Teaching-Story.

Gaby Thomson-Wohlgemuth prende in esame le annotazioni al testo (note, prefazioni, annotazioni critiche), pratica solitamente non comune nella letteratura per ragazzi ma molto frequente in regimi dittatoriali come la Repubblica Democratica Tedesca, con l’intento di controllare il testo originale per evitare di sottoporre il giovane lettore della cultura d’arrivo a una pericolosa contaminazione ideologica. Il testo tradotto è addomesticato, cannibalizzato e profondamente trasformato per renderlo accessibile ai giovani lettori che, a causa della Cortina di Ferro, vivono in un mondo isolato (testi stranieri appartenenti al passato o a mondi distanti da quello della Germania dell’Est) e soprattutto per fornire loro la “corretta” interpretazione del testo, in conformità all’ideologia socialista. I libri pertanto non sono solo mezzo di divertimento ma anche di istruzione e formazione socialista e il traduttore svolge la funzione di controllore degli ingressi dei testi nella cultura di arrivo e di censore dei contenuti.

L’intervento conclusivo a cura di Robert Ornstein ci spalanca le porte di un mondo testuale per gran parte ancora sconosciuto in Occidente, ma molto diffuso in Medio Oriente e in Asia Centrale, il Teaching-Story, racconti universali contenenti elementi istruttivi, storie non necessariamente letterarie provenienti da tutte le parti del mondo, capaci di regalare ai giovani lettori nuove prospettive multiculturali. Non si tratta di racconti con una morale o contenenti un insegnamento come quelli che fanno parte della nostra tradizione culturale occidentale, bensì storie che dicono qualcosa di più su se stessi e su come rapportarsi in situazioni sconosciute, preparando i giovani lettori ad affrontare eventi sconosciuti che possono realmente verificarsi, promuovendo il loro sviluppo sociale e la loro emotività. Lo studioso mette in luce l’importanza di promuovere la traduzione e la diffusione di questi testi, al fine di poterli utilizzare nelle scuole fin dalla prima infanzia, poiché favoriscono lo sviluppo cognitivo del bambino.

Un contributo significativo che ha l’ambizione di contribuire a promuovere una migliore conoscenza della letteratura per l’infanzia e una sua positiva valutazione nel mondo, affinché essa possa affrancarsi definitivamente dal giogo pedagogico che ancora in parte la condiziona e dal ruolo marginale che le viene attribuito nella produzione letteraria, potendo finalmente acquistare la giusta e doverosa dignità artistica che le spetta di diritto.

Ilaria Biondi

Note

[1] I Child-Oriented Translation Studies, a differenza della Children’s Literature Translation, si soffermano pertanto sul metodo e sul linguaggio specifici della traduzione orientata verso il bambino, tenendo presente nelle loro riflessioni e indagini il collegamento con altre aree disciplinari e la non facile collocazione di questo tipo di produzione letteraria, della quale si rischia di parlare ricorrendo a riduttive semplificazioni. La Child-Oriented Translation prevede un codice normativo a sé stante, essendo caratterizzata da uno specifico destinatario, con bisogni particolari ed avendo la letteratura per ragazzi, a tutt’oggi, un prestigio culturale inferiore nel sistema culturale – letterario.

[2] Se si prende in considerazione ad esempio il sintagma “bianco come la neve”, si evince che esso non costituisce un riferimento culturale specifico se si traduce dall’inglese all’italiano, ma lo diventa se questa immagine deve essere tradotta in lingue dove la neve è concetto sconosciuto da un punto di vista tanto geografico quanto culturale.

[3] Borodo porta ad esempio il caso dei libri italiani per bambini disponibili in Polonia negli anni ’90, che  sono adattamenti di classici occidentali NON italiani.

Nessun bambino è un’isola. La letteratura per l’infanzia e la traduzione.

Articoli dalla Conferenza della IBBY / NCRCL tenuta alla Roehampton University London, il 12 novembre 2005 [Pat Pinset (ed. by), No Child is an Island, Pied Piper Publishing, Shenstone, 2006]

Ed. italiana e introduzione a cura di Stefania Tondo (Na, Graus editore, 2007]

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