“Bene o male, l’importante è che se ne parli” è un modo di dire che prima di fare la traduttrice non avevo mai capito fino in fondo, perché, come ci insegnavano anche le schede di valutazione dei programmi televisivi fatte da Sorrisi e Canzoni degli anni ’70, una cosa è essere conosciuti e un’altra cosa il gradimento, e non mi è mai stato chiarissimo perché qualcuno dovrebbe gioire del fatto che si parli tanto, e male, di lui. Da quando traduco libri, però, un po’ ho cominciato a intuire uno dei possibili sensi di questa massima. Se ci lamentiamo che i giornalisti, e persino a volte gli editori, si dimenticano di citare il nostro nome nelle sedi opportune, il fatto di essere oggetto di critiche, a volte anche di stroncature, non solo da parte degli addetti ai lavori, ma anche di lettori, non può che essere il segno lampante che non siamo più così invisibili.
Federica Aceto