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Intervista alle traduttrici di Spare

[A cura di Antonia Mattiello]

Spare, il memoir del Principe Harry, è stato un successo clamoroso con, ad oggi, 3,2 milioni di copie vendute. Già prima di uscire in lingua originale, il libro era stato tradotto in diverse lingue in vista della pubblicazione su scala mondiale. Spare non avrebbe sicuramente avuto la distribuzione capillare di cui invece ha goduto senza il lavoro di traduttrici e traduttori che si sono occupati, in tempi record e con un’enorme responsabilità sulle spalle, di portare a termine una delle uscite più attese da lettori e appassionati della Famiglia Reale Britannica.

L’edizione italiana, edita da Mondadori, è frutto del lavoro individuale e della collaborazione di ben quattro traduttrici: Sara Crimi, Manuela Faimali, Valeria Gorla e Laura Tasso. Siamo loro grate per aver accettato di rispondere ad alcune domande su questa  impresa a dir poco titanica, che siamo certe stuzzicheranno la curiosità dei traduttori e delle traduttrici che ci leggono.

Qual è stata la vostra prima reazione quando avete saputo che avreste tradotto Spare?
[LT] Stupore e curiosità sul contenuto.
[VG] Decisamente curiosità. Non vedevo l’ora di iniziare.
[MF] Sorpresa e curiosità, anche nel mio caso.
[SC] Ingenua curiosità. Ingenua, perché non mi aspettavo minimamente tutto quello che sarebbe successo.

Con che stato d’animo ci si approccia alla traduzione di un libro che si sa diventerà un best seller mondiale?
[LT] A dire il vero qualche dubbio che diventasse un best seller in Italia lo avevo (smentito poi dai fatti), ma l’approccio alla traduzione è stato lo stesso di sempre.
[VG] Da parte mia c’era un po’ d’ansia, perché sapevo che avremmo avuto gli occhi di tutti addosso. Ma per il resto, ho lavorato con lo stesso metodo di sempre.
[MF] Di fronte a un potenziale best seller ci si sente sicuramente più esposti, anche se la consapevolezza di avere tre colleghe al mio fianco, con cui avrei diviso oneri e onori, mi ha aiutata a tenere a freno il mio lato più ansioso.
[SC] Non ho iniziato questo lavoro pensando a quello che sarebbe (o non sarebbe) stato il successo del libro (che poi ha superato ogni aspettativa), ma la tensione e l’ansia da prestazione erano notevoli, perché era chiaro che per l’editore questa uscita era importantissima.

Ci sono state delle indicazioni dall’alto piuttosto rigide, in quanto a accordi di riservatezza, tempistiche, alla terminologia o allo stile?
[LT] Sugli accordi di riservatezza potremmo scrivere un libro. Scherzi a parte, abbiamo molto sentito la paura di mettere una parola poco gradita, diciamo “a corte”, di interpretare male qualcosa, o di vederci denunciare dagli avvocati di Casa Reale.
[VG] Per quanto riguarda gli accordi di riservatezza, sì, ci sono state indicazioni molto rigide: non potevamo parlarne con nessuno e dovevamo riferirci a libro e autore usando nomi in codice. Quanto a terminologia e stile, siamo state libere di scegliere l’approccio che ci sembrava più adatto al testo.
[MF] Oltre al problema della riservatezza, che ci ha imposto di prendere ogni precauzione possibile per evitare fughe di notizie o hackeraggi, anche la questione dei tempi è stata piuttosto pressante, come in tutti i casi in cui un’opera deve essere pubblicata in contemporanea mondiale.
[SC] Non era la prima volta che lavoravamo a un libro “soggetto a embargo”, ma è stata la prima in cui le misure di sicurezza informatiche sono state non a due, ma a tre e più fattori. Non abbiamo avuto indicazioni stilistiche o terminologiche, ma la paura di commettere un errore umano era tanta, e ci ha spesso portate a farci domande che forse, in altri contesti, non ci saremmo poste.

Quali sono state le difficoltà (se ce ne sono state) nel tradurre in team? E quali invece i lati positivi?
[LT] Sul tradurre in team, io e Sara lavoriamo quasi esclusivamente in coppia da dieci anni, con molti titoli all’attivo, quindi nessuna difficoltà per noi. Con Manuela avevamo già collaborato a una traduzione, anche se in maniera meno coinvolgente rispetto a Spare. Ma devo dire che siamo entrate subito in sintonia e, creando un gruppo Whatsapp, abbiamo alleggerito molto la tensione del lavoro.
Dal punto di vista traduttivo non abbiamo avuto alcun problema. La traduzione in team permette di mettere insieme esperienze e competenze diverse che si completano a vicenda, pur nell’iniziale difficoltà di arrivare a uno stile uniforme in tutto il testo.

[VG] Non mi sembra ci siano state difficoltà particolari: a quanto ne so, avevamo già tradotto tutte a più mani, anche se non necessariamente insieme. Laura e Sara sono una squadra ultra-collaudata. La difficoltà maggiore è stata rappresentata dalle continue modifiche che sono arrivate dopo la morte della regina, più che altro.
[MF] Mi soffermerei soprattutto sui lati positivi, anche perché fatico a trovarne di negativi… Si è creata subito una forte sintonia, e ogni giorno ci confrontavamo su questioni di ogni genere, dalle più banali alle più spinose, per arrivare a una soluzione comune. Dal mio punto di vista, il lavoro a più mani arricchisce non solo l’opera alla quale si sta lavorando ma anche lo stesso traduttore, perché il confronto aiuta ad ampliare le prospettive e a fornire nuovi strumenti che possono tornare
utili anche in futuro.
[SC] Io sono una fan accanita del tradurre in team e ne vedo solo i lati positivi in termini di supporto reciproco, divertimento, crescita personale e professionale. Certo, occorre avere la fortuna di lavorare con persone con cui si è in sintonia, ma questa non è mancata e spero proprio di avere nuove opportunità di collaborare con le ragazze.

Come avete organizzato il lavoro di traduzione a 8 mani?
[LT] In tre ci siamo divise il testo da tradurre, poi ognuna di noi ha revisionato le traduzioni delle altre e la quarta ha nuovamente revisionato, tenuto le fila e uniformato.
[MF] E a tutto questo vanno aggiunte le innumerevoli riletture corali a seguito delle correzioni inviate dall’editore americano, alle quali abbiamo dedicato una particolare attenzione per evitare che potesse sfuggire qualche modifica.
[SC] Le ragazze traducevano, io rileggevo e revisionavo anche alla luce dei nove diversi manoscritti che sono arrivati e che ogni volta hanno richiesto una collazione.

Quanto è stato importante avere delle conoscenze pregresse sulla storia della famiglia reale e sugli ultimi sviluppi per affrontare questa traduzione? Avete dovuto studiare e approfondire?
[LT] Nel nostro lavoro studio e approfondimento sono imprescindibili in quasi tutti i testi. Per questo libro il fatto che si trattasse di episodi spesso molto noti ha aiutato, ma i controlli ci sono stati comunque.
[MF] Non ritengo strettamente necessario avere conoscenze pregresse nella traduzione di testi non specialistici, anche se in questo caso buona parte delle vicende era già di dominio pubblico. Ma è sempre fondamentale operare le dovute ricerche e verifiche, che spesso aiutano a evitare passi falsi e in qualche caso anche a scovare errori nel testo originale.
[SC] A quello che hanno detto le ragazze, aggiungo solo che io mi sono ritrovata a ripassare su YouTube per rinfrescare alcuni fatti con i filmati d’epoca.

C’è una curiosità o informazioni nuove che vi hanno colpito particolarmente lavorando a questo libro?
[LT] Non direi, ma dipende da quanto si conosce l’argomento. Certo si è trattato di un punto di vista “ribaltato” rispetto a quanto si può leggere sulla stampa. La “vittima” diventa il narratore.

[VG] A dire il vero, prima di tradurre Spare non è che avessi una gran conoscenza delle vicende riguardanti Harry e Meghan: sapevo che se n’erano andati in seguito a varie polemiche, ma non conoscevo i dettagli, per cui non posso dire di essere stata colpita da informazioni nuove, perché per me era tutto più o meno “nuovo”.
[MF] Sicuramente questo libro offre un altro punto di vista rispetto alla narrazione più spesso diffusa dalla stampa. Forse non mi sarei aspettata un racconto così approfondito e personale della formazione militare del principe Harry, di cui si è parlato relativamente poco negli anni.
[SC] Io sono rimasta molto colpita dalla narrazione della morte di Diana raccontata dal punto di vista di Harry, una visuale inedita, almeno per me.

Ci sono state delle parti più difficili da tradurre o concetti più complessi da trasferire?
[LT] In alcuni casi abbiamo chiesto lumi all’editore, ma un grosso dubbio ci è rimasto.
[VG] Si è discusso a lungo su come rendere “spare”, non solo fra noi ma anche con la redazione. E, come ha detto Laura, un grosso dubbio ci è rimasto.
[SC] Quel dubbio (e non diciamo quale)! Ogni tanto ci ripenso e non trovo una spiegazione. Credo sarebbe la sola domanda che vorrei fare all’autore, se avessi la possibilità di incontrarlo.

Il libro è narrato in prima persona: è stato difficile trovare il giusto tono di voce? Quali problemi avete riscontrato? Come ne siete venute a capo e con quali compromessi?
[LT] Non ricordo di aver riscontrato nel testo particolari difficoltà, almeno non più del normale, poi il lavoro in team ha permesso di discutere insieme i dubbi sulle interpretazioni di alcuni brani.
[SC] Il dibattito si è infervorato quando abbiamo dovuto decidere il tono di voce nei casi in cui Harry menziona la madre, il padre e i suoi familiari più stretti: articolo determinativo o non articolo determinativo? La mamma o Mamma? Qui sono emerse le differenze regionali e le abitudini linguistiche. Alla fine, abbiamo lasciato che fossero i revisori esterni a sciogliere il nodo gordiano.

Noi de La bottega dei traduttori abbiamo una passione per gli intraducibili. Avete trovato termini, espressioni o concetti intraducibili? Come ve la siete cavata?
[LT] Anche in questo caso, a parte le personali idiosincrasie per qualche parola che tipicamente non si sa bene come rendere nel contesto (pur avendo chiarissimo il concetto) abbiamo cercato di risolvere in gruppo. Ma una “fish-biro” ci ha davvero spiazzate, e il mistero permane tuttora.
[VG] Ah, sì, la “fish-biro” resterà un mistero irrisolto!
[MF] Ricordo anche le “hover monkeys”, un fenomeno legato al volo degli elicotteri per cui non esiste una traduzione italiana. Avremmo voluto trovare una resa efficace, ma alla fine abbiamo deciso di mantenere l’inglese, visto che il riferimento alle “scimmie” era ben spiegato subito dopo.
[SC] Laura e Valeria hanno spoilerato l’arcano! Se qualcuno arriva a una soluzione, ci scriva!

Dopo l’uscita di Spare nelle librerie, molte persone addette ai lavori e non, hanno sfruttato l’occasione per creare un dibattito sulla traduzione del titolo, facendo talvolta il confronto con pubblicazioni in altre lingue. Chi è del mestiere sa che molto raramente è il traduttore a decidere il titolo. Avevate fatto delle proposte? Avreste preferito un titolo diverso o pensate che per il pubblico italiano quello scelto dall’editore funzioni?
[LT] Passiamo alla domanda di riserva. Sappiamo che ci sono state molte polemiche in proposito,
ma il titolo non lo abbiamo scelto noi.

[VG] Abbiamo fatto qualche proposta, qualcuna anche piuttosto lontana dalla lettera, un po’ sulla scia della scelta dell’editore spagnolo. Ma poi ovviamente è stato scelto dall’editore, non da noi. Obiettivamente, non è un titolo facile da tradurre.
[MF] Grazie per avere sottolineato che raramente è il traduttore a scegliere il titolo, perché in generale ci capita spessissimo di essere “attaccati” solo sulla base di questo, come se una traduzione poco convincente del titolo equivalesse in automatico a una traduzione scadente dell’intera opera. In questo caso specifico, dopo un primo confronto con noi traduttrici, l’editore ha operato una scelta ragionata, di cui ci ha rese partecipi spiegandone i motivi.
[SC] Su questo ho letto cose che voi umani… lasciate allora che mi tolga qualche sassolino dalla scarpa. Qualcuno ha detto che siccome il titolo è tradotto male, allora sicuramente il libro era tradotto male, senza pensare (o sapere) che, appunto, il titolo non è (quasi) mai scelto dal traduttore, quindi non c’è correlazione. Il sottotitolo, inoltre, non voleva essere la traduzione del titolo, altra cosa che non è stata capita. Qualcuno ha detto che ci sarebbero state soluzioni migliori, tipo: “Il pezzo di ricambio” (siamo a Windsor, non alla FIAT) o “La riserva” (non siamo ai Mondiali di Calcio) o “Il cadetto” (non è l’Accademia e comunque il senso non è quello). Il concetto sarebbe esprimibile al massimo come “L’erede di riserva”, ma era troppo lungo per un
sottotitolo e decisamente inappropriato per un titolo. Si sarebbe potuto decidere di lasciare solo l’inglese, ma l’idea che i lettori lo leggessero all’italiana credo non sia piaciuta all’editore (e io sottoscrivo). E se invece questo titolo fosse azzeccato perché contiene in sé il senso di “fratello minore” e di “persona di minor valore”?

Alcune case editrici non vedono di buon occhio che un’opera venga tradotta da più di un/a traduttore/traduttrice. In realtà, non solo è possibile ma può dare degli ottimi risultati in termini di resa finale e tempi di consegna. Qual è la vostra opinione in merito?
[LT] Come dicevo sopra, collaboro da dieci anni su traduzioni a quattro mani (e due teste) con Sara, quindi non sono la persona più adatta a rispondere. Sugli ottimi risultati lascio che siano i lettori a decidere. Il nostro scrupolo è sempre stato quello di dare la sensazione di “una voce sola”, e spero ci siamo riuscite. Poi, per le case editrici, c’è spesso anche una questione di tempi molto stretti che non permetterebbero a un unico traduttore di completare il lavoro per la data richiesta.
[VG] Mi è capitato parecchie volte di tradurre a più mani, sempre per questioni di tempo, ed è un’esperienza che mi piace moltissimo: da un lato, il confronto con i colleghi porta sempre a trovare soluzioni a cui spesso da sola non arriveresti, a sciogliere dubbi, e in generale anche a interessanti riflessioni sulla traduzione; dall’altro, non senti tutto il peso del libro gravare solo sulle tue spalle.
[SC] Capisco il dubbio, che è anche lo stesso di molti lettori, ma occorre anche ricordare che il mondo editoriale sta sempre più spesso andando nella direzione della pubblicazione in contemporanea di originale e traduzione. Certo, non vale per tutti i libri, ma per tanti (tantissimi) sì. Oggi, grazie a Internet e alle maggiori conoscenze linguistiche dei lettori, se gli editori non
uscissero in contemporanea si brucerebbero le vendite. E questa esigenza porta con sé il lavoro in team. Oppure di trovare traduttori capaci di tradurre al doppio o al triplo della velocità normale.

Potete dare a chi legge questa intervista tre o più consigli fondamentali per lavorare in team a un’opera?
[LT] 1 – Fidarsi di chi lavora con te 2 – Non avere paura commentare le scelte dell’altro con cui non concordi spiegando il perché 3 – Non offendersi per le inevitabili correzioni 4 – Su scelte non condivise accordarsi tenendo sempre a mente che è la scorrevolezza della traduzione che ha la precedenza sull’ego.
[VG] Credo che Laura abbia già detto tutto. Il consiglio fondamentale, per me, è di lasciare l’ego fuori dalla porta e ricordarsi che sei al servizio del testo e non viceversa.
[MF] Sono pienamente d’accordo con le risposte delle colleghe. Oltre alla fiducia e al rispetto reciproci, ci vuole l’umiltà di riconoscere quando i suggerimenti degli altri sono migliorativi rispetto alle nostre scelte, e di chiedere aiuto di fronte a passaggi problematici o che esulano dalle nostre competenze.

Senza fare troppi spoiler, dateci quattro buone ragioni per leggere Spare, una a testa.
[LT] Un punto di vista “nuovo” su una famiglia di cui tutti sanno tutto (anche se magari non lo ammettono).
[VG] È un modo per farsi un’idea di come funziona la “ditta”…
[MF] Di fronte alle fughe di notizie spesso false o fuorvianti, e alle critiche più o meno positive, può essere interessante leggere il libro in prima persona, così da formarsi una propria opinione sugli episodi raccontati e magari anche vedere le cose da una prospettiva nuova.
[SC] È un libro scritto e pensato bene, che si legge come un romanzo, con il quale condivide le tecniche narrative.

LE TRADUTTRICI

Sara Crimi e Laura Tasso: Si occupano di editoria da più di vent’anni. Firmano la loro prima traduzione a quattro mani nel 2011, una monografia su Robert Capa a cui sono comprensibilmente molto affezionate. Da allora hanno stretto da una profonda amicizia e una fruttuosa collaborazione da cui è nata la traduzione di oltre cento libri, molti dei quali best-seller. Per consuetudine i loro nomi compaiono in ordine alfabetico, ma, quando si tratta di libri, loro si sentono una cosa sola.

Manuela Faimali: Nata a Piacenza nel 1984, Manuela Faimali ha conseguito una laurea specialistica in traduzione letteraria e tecnico-scientifica, e dal 2008 lavora come traduttrice editoriale dall’inglese. Ha all’attivo circa novanta titoli di narrativa, saggistica e varia, tra i quali Nessuno ne parla di Patricia Lockwood, nella rosa di finalisti del Booker Prize 2021; L’ultima ragazza, autobiografia del premio Nobel per la pace Nadia Murad; e Non dire niente di Patrick Radden Keefe, un saggio di giornalismo investigativo sulle travagliate vicende dell’Irlanda del Nord.

Valeria Gorla: Nata a Milano, lavora in editoria dal 2006. Legge, revisiona e traduce per varie case editrici, tra cui Mondadori, il Saggiatore, Neri Pozza, HarperCollins e Gruppo GeMS. Traduce narrativa, varia e saggistica dall’inglese e dallo svedese; fra i titoli all’attivo, Me, autobiografia di Elton John co-tradotta con Michele Piumini; Toscanini, biografia scritta da Harvey Sachs; Ragazze di città, romanzo di inizio novecento della scrittrice femminista svedese Elin Wägner. Dal 2022 è tra i docenti del Master in traduzione dell’Accademia delle Editorie.

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