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Curiosità: attenzione al serpente nell’erba!

A cura di Barbara Barnini

Le giornate si stanno allungando e il tiepido sole fa capolino tra le nuvole che hanno ingrigito il cielo per mesi, gli sprazzi d’azzurro nel cielo fanno sorgere il desiderio di incamminarsi per sentieri di montagna e di immergersi nel silenzio della natura come in un bagno rigenerante (la pratica anche nota come forest bathing).

Ma la natura ha i suoi abitanti e, se vedessimo strisciare un serpente  sul sentiero, smetteremmo all’istante di abbracciare alberi, lanceremmo un grido di terrore e trasaliremmo alla sua vista. Ma niente panico! Sarebbe con molta probabilità un’innocua biscia, che conosce il suo cammino e che non ha alcun interesse a interagire con noi. Incrociamo le dita!

Scherzi a parte… Il serpente, per la sua natura istintiva e imprevedibile, ha da sempre ispirato l’immaginario letterario di molti autori europei, dall’antichità classica al Rinascimento, e fin dalle prime attestazioni letterarie, l’immagine simbolica e poetica del serpente nascosto nel verde degli steli è stata evocatrice di insidie occulte e presagi infausti che incombono fatali. Nella terza egloga delle Bucoliche (39 a.C. circa) di Virgilio, il pastore Dameta esorta dei ragazzi alla fuga, dopo aver scorto un algido serpente acquattato tra l’erba:

Voi che cogliete i fiori e le fragole che nascono in terra, ragazzi, fuggite di qui, un freddo serpente si nasconde nell’erba.  

Dalla mitologia greca ci viene tramandata una delle storie d’amore più struggenti di sempre, assurta a simbolo dell’amore eterno, quella tra la bella ninfa arborea Euridice e il cantore Orfeo. La sorte, avversa ai due giovani sposi, volle che la fanciulla perisse per il morso letale di un serpente nascosto tra l’erba alta, mentre correva per sottrarsi alle insidie del pastore Aristeo che si era invaghito di lei. L’episodio è narrato da Virgilio nelle Georgiche (31 a.C.):

Correndo a perdifiato lungo un fiume, Euridice, ormai segnata dalla morte, per sfuggirti, non vide il serpente mostruoso appostato tra l’erba folta sulla riva.

E ricompare nelle Metamorfosi (8 d.C.) di Ovidio:

La giovane sposa, mentre tra i prati vagava in compagnia d’uno stuolo di Naiadi, morì, morsa al tallone da un serpente.

Secondo gli studiosi della lingua, l’espressione idiomatica inglese a snake in the grass, un serpente nell’erba sembrerebbe risalire ai modelli virgiliani, e indica un pericolo in agguato, non necessariamente in forma di serpente, oppure un impostore, un traditore pronto a colpire alla prima occasione, trovando in questo caso il suo corrispettivo in vipera, metafora per una persona maligna e spregevole.

Nella sua interazione con Virgilio, Dante nel canto VII dell’Inferno accosta l’immagine del serpente – anguis in latino – nascosto tra i fili erbacei alla Fortuna, identificata con l’imperscrutabile volontà divina a cui non ci si può opporre:

Seguendo lo giudicio di costei / che è occulto come in erba l’angue.

Attraversiamo ora la Manica e torniamo nella terra di Albione, dove troviamo due testimonianze letterarie emblematiche del serpente in natura, una medievale e l’altra seicentesca:

But just as serpent under flower will hide / Until he sees the time has come to bite, Just so this god of love, this hypocrite

In questo verso del Squire’s Tale, il Racconto dello scudiero contenuto nel capolavoro di Geoffrey Chaucer The Canterbury Tales (I racconti di Canterbury – 1380), l’autore impiega la figura del rettile che si nasconde tra i fiori come allusione all’ipocrisia del dio dell’amore.

Duecentoquarantatré anni dopo, viene data alle stampe The Tragedy of Macbeth, opera simbolo della smodata brama di potere e dei suoi pericoli, in cui Shakespeare si serve della stessa immagine, facendo dire alla diabolica Lady Macbeth:

Your hand, your tongue: look like the innocent flower, But be the serpent under’t (1. 5.)

consigliando così al marito, assoggettato alla sua volontà, di tenere un comportamento ambivalente per assicurarsi l’ascesa al trono di Scozia.

In conclusione: il serpente strisciante nella natura amena, personificazione biblica del male e della tentazione, è un archetipo letterario antico sfruttato da autori di ogni tempo, genere e luogo per consegnare al lettore un’immagine suggestiva di forte impatto metaforico, foriera di minacce e inganni.

E se un cuore di serpe si nasconde sotto una facciata di fiorente bellezza, per dirla con Shakespeare – O serpent heart, hid with a flowering face! (Romeo and Juliet, 3. 2.) – è facile immaginarsi che nel linguaggio figurato anglofono a snake in the grass descriva in modo vivido una persona ingannevole da cui è consigliabile stare alla larga.

 

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