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Lusofoniamo: Mário de Andrade e o Primeiro de Maio.

Il primo di maggio non è una semplice data nel calendario segnata di rosso, non è una ricorrenza celebrata solo in Italia, è il giorno che ricorda la conquista dei diritti dei lavoratori anche in Brasile e in molti altri paesi.

C’è un autore in particolare che racconta la storia delle lotte operaie brasiliane con un intento sì letterario e celebrativo, ma anche di protesta: Mário de Andrade in Primeiro de Maio.

Mário Raul de Morais Andrade nasce a São Paulo il 9 ottobre 1893 e mostra subito una grande propensione per le arti come la musica e la letteratura. Negli anni ‘20 diviene leader del movimento modernista, allontanandosi dalle convenzioni letterarie per valorizzare la cultura e le tradizioni popolari brasiliane. Con Oswald de Andrade, Tarsila do Amaral, Anita Malfatti e Menotti del Picchia forma il Grupo dos Cinco, e organizzano la Settimana dell’Arte Moderna.

Nel 1922 pubblica la raccolta di poesie Paulicéia Desvairada e lavora come professore di storia della musica presso il Conservatorio di São Paulo.  Grazie allo spiccato sguardo pionieristico, la sua poesia conserva elementi dell’avanguardia europea come la scrittura automatica del Surrealismo e le influenze cubiste.

Andrade è noto soprattutto per il romanzo Macunaíma (Macunaíma, L’eroe senza nessun carattere, a cura di Giuliana Segre Giorgi, Biblioteca Adelphi 32). Attraverso l’uso di un linguaggio innovativo, in cui mescola dialetti, miti indigeni e cultura popolare, racconta la storia di un “eroe senza carattere”, incarnazione dell’identità complessa e frammentata del Brasile.

Si interessa anche alla ricerca etnografica e viaggia per l’intero Brasile al fine di studiare e documentare le molteplici tradizioni musicali e folcloriche.

Tra il 1934 e il 1942, Andrade scrive il racconto Primeiro de Maio, pubblicato postumo in Contos Novos nel 1947. L’opera stabilisce un’aspra critica all’Estado Novo, istituito in Brasile da Getúlio Vargas nel 1937, attraverso le azioni del protagonista, il giovane facchino 35 della stazione ferroviaria Estação da Luz di São Paulo, in un tempo narrativo limitato a un solo giorno, la festa internazionale del lavoro. 35 si sveglia, si fa la doccia e si rade per festeggiare degnamente il primo maggio. Indossa un bel abito nero ed esce per godersi l’importante giornata. Decide di passare dalla Estação da Luz per salutare i colleghi, tuttavia, quando quest’ultimi si accorgono che si è messo in ghingheri, lo deridono esortandolo ad andare al lavoro perché il loro non prevede ferie.

Torna allora a passeggiare per la città, ma è semideserta: è tutto chiuso e ci sono poliziotti ovunque. Seduto su una panchina del parco, 35 legge il giornale e si commuove di fronte a un articolo sulla nobiltà

del lavoro operaio, poi passa alle notizie sui disordini previsti a Parigi, sulle misure della polizia per contenere le manifestazioni a São Paulo e sulla grande riunione proletaria nel Palácio das Indústrias con

un discorso dell’illustre Segretario del Lavoro. 35 prova un forte senso di angoscia al solo pensiero di ciò

che potrebbe accadere in quel luogo serrato. Continua la lettura e scopre dell’arrivo dei deputati laburisti

alla Estação do Norte e, nonostante tema di arrivare in ritardo, decide di raggiungerli e accogliere i grandi

uomini. Per sua grande sorpresa, non vi è alcuna folla, regna un enorme silenzio. Colto da un senso di delusione, di rimorso e di fame, 35 torna a casa. Con il cuore stretto in un’angoscia indicibile per la mancata commemorazione, non riesce a mangiare, accettando così il suo stato di infelicità e solitudine.

Nel primo pomeriggio si reca al Palácio das Indústrias dove sono presenti decine di lavoratori dall’aria indecisa e poliziotti in ogni dove. 35 incontra l’amico 486, anche lui non lavora perché convinto di essere anarchico, ma in fondo è solo un codardo.

I racconti di 486 su orrendi massacri operai non fanno che aumentare la vigliaccheria di 35. Malgrado il

sentimento di fratellanza nei confronti degli altri proletari, 35 si fa prendere dal panico all’idea di entrare

in quella fortezza blindata circondata dalla polizia e decide di non mettere a repentaglio la propria vita.

Senza nemmeno salutare, 486 prende un tram verso il centro città. La paura scompare. Ormai, 35 non pensa e non sente più nulla, resta solo un senso di vaghezza, un’inesistenza fraudolenta e cinica, mentre il primo maggio volge al termine. Alla fine della giornata, 35 torna all’ Estação da Luz. Affamato, entra in un bar e mangia in compagnia dei colleghi che, seri e curiosi di sapere come è andata la festa, gli rivolgono mille domande. 35 ha un istinto voluttuoso di mentire, di farsi bello e coraggioso ai loro occhi, ma si limita a sbuffare di disdegno. Arriva un treno, i facchini tornano al loro lavoro e 35 corre in aiuto dell’anziano collega 22.

L’autore riesce a offrirci un intenso spaccato della realtà urbana e delle contraddizioni della modernità; condensa la sua visione critica della società, dà voce ai margini, inscena un conflitto tra ideali e quotidianità, e infine ci offre una lezione di solidarietà.

Mário de Andrade muore a soli 51 anni, ma la sua eredità letteraria, testimonianza vibrante dell’arte e del suo impegno, lascia un’impronta duratura, influenzando generazioni di scrittori e artisti.

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