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Lusofoniamo: Uma mulher, Clarice Lispector

Arriva marzo, il mese in cui si celebra la Giornata Internazionale della Donna, non solo per ricevere un bel mazzetto di mimosa – ben apprezzato se non si è allergiche –, ma soprattutto per ricordare e commemorare le conquiste politiche e sociali che il genere femminile ha ottenuto con grande determinazione e coraggio.

Se dico donna, o meglio mulher, non posso che pensare all’immensa scrittrice brasiliana Clarice Lispector, esponente della terza generazione modernista, che ha contributo all’esplorazione delle più recondite identità femminili.

Clarice (Haia Lispector) nasce il 10 dicembre 1920 in Ucraina, ma all’età di due anni si trasferisce in Brasile con i genitori e le due sorelle, in cerca di un luogo sicuro per una famiglia ebrea, ai tempi della guerra civile. Bambina prodigio, già all’età di dieci anni compone la sua prima opera teatrale, intitolata Pobre menina rica. Nello stesso anno, purtroppo, diventa orfana di madre. Nel 1935, la famiglia allora si sposta a Rio de Janeiro, città in cui Clarice studia presso la Facoltà di Diritto, senza tralasciare la passione letteraria: scrive racconti e lavora come redattrice. Alla morte del padre, torna a vivere a casa di una delle sorelle e qui incontra l’amore, il diplomatico brasiliano Maury Gurgel Valente, nonché suo futuro sposo. Nel 1943, si laurea e pubblica il suo primo romanzo, il monologo interiore Perto do coração selvagem (Vicino al cuore selvaggio, traduzione di Rita Desti, Adelphi), vincitore del premio Graça Aranha e definito da Alvaro Lins come «il primo romanzo nello spirito di Joyce e Virginia Wolf» per l’immediatezza delle descrizioni del suo mondo e, soprattutto, della protagonista, Joana, una bambina che si fa donna.

A causa del lavoro del marito, Clarice è costretta a spostarsi più volte, da Belém a Napoli, dalla Svizzera, ove nasce il primogenito, in Inghilterra, per poi trasferirsi negli Stati Uniti, terra natale del secondo figlio. Nel 1959, Clarice si separa, torna a Rio de Janeiro, ove produce una delle sue migliori opere: la raccolta di tredici racconti Laços de família (Legami familiari, traduzione di Adelina Aletti, Feltrinelli). La narrativa, sottoforma di flusso di coscienza, focalizza l’attenzione sui conflitti familiari e le conseguenti implicazioni sentimentali. Clarice ci presenta personaggi femminili comuni che rivelano una certa oppressione proveniente dal contesto familiare e sociale: sono soffocate dal peso del legame matrimoniale e dalla maternità. Segno distintivo dell’autrice è l’uso della tecnica dell’epifania: un’improvvisa rivelazione a seguito di una profonda analisi esistenziale, rompendo così dagli schemi monotoni e le imposizioni sociali.

Da ricordare anche il romanzo introspettivo A paixão segundo G.H (La passione secondo G.H, traduzione Adelina Aletti, Feltrinelli) permeato di inquietudini e riflessioni. La protagonista, G.H, in seguito a un insolito incontro, si sente persa e ricerca la sua vera identità, nonostante conduca una vita agiata e professionalmente di successo.

Nel 1966, la vita della nostra autrice è purtroppo segnata da un brutto incidente: un incendio scoppiato in casa dopo che si era addormentata lasciando una sigaretta accesa. Le gravi ustioni sul suo corpo la costringono a un ricovero ospedaliero di ben due mesi, provocandole una pesante depressione. Vince però la sua tenacia e non abbandona la scrittura. Negli anni ‘70 pubblica, infatti, uno dei suoi capolavori, Água viva (Acqua viva, traduzione di Roberto Francavilla, Adelphi). Un monologo interiore, dalla prosa marcatamente intimistica che tratta i temi e i dilemmi di vita attraverso la voce della protagonista, una pittrice che si rivolge a un amante perduto.

Non basterebbero dieci o forse cento articoli per illustrare tutte le sue creazioni, ma voglio citarne un’ultima, A via crucis do corpo (La passione del corpo, traduzione A. di Munno, Feltrinelli), pubblicata nel 1974. Ci offre una serie di racconti, scritti in appena tre giorni, incentrati sul significato del corpo e su una profonda analisi psicologica, marchio di fabbrica dell’autrice. L’opera punta i riflettori verso l’universo femminile e sui suoi sentimenti, fantasie e fatti di vita quotidiana, come l’amore e il sesso.

Artista dalle mille sfaccettature, Clarice si dedica anche alla letteratura infantile, alla traduzione dal francese e dall’inglese, e alla pittura.

Il suo genio non convenzionale – l’uso del metalinguaggio e di una scrittura densa e frammentaria – è praticamente riconosciuto in tutto il mondo, difatti riceve numerosi omaggi per la sua spiccata carriera letteraria. Muore il 9 dicembre 1977, nella sua Rio de Janeiro, a causa di un terribile cancro alle ovaie, lasciando un grande vuoto in ogni lettore, soprattutto nelle lettrici che si sono riconosciute nelle sue parole che riflettono tutta la complessità e la fortuna di essere nate donne.

“Eu não escrevo o que quero, escrevo o que sou.”    

Clarice Lispector

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